“Glocal Cyber-Trash Market”di il7 – Marco Settembre | Cyberpunk nell’Arte #33

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“Glocal Cyber-Trash Market”, dittico fotografico realizzato da il7 – Marco Settembre il 6/10/2016 03:47, partendo da due scatti effettuati rispettivamente il 2-06-2007  19.57.31 e il 14-02-2010  20.33.14, entrambi a Roma.

il7 - Marco Settembre, dittico fotografico Roma

Nella mia serie fotografica “Nessi oscuri“, per la prima volta utilizzavo l’arma impropria del dittico – due immagini accostate a comporre un’unica opera – per cercare di potenziare il mio linguaggio iconico, fatto sì di foto di genere “Urban” (titolo della mia prima serie) ma declinate, diversamente dal genere “Street”, in una modalità enigmatica, con un mood misterioso. Per sottolineare l’oscurità di certe visioni, sollecitando fortemente lo spettatore a porsi delle domande tipo: “Ma dove accidenti siamo, qui?” e anche: “Cosa è successo o sta per succedere, in questo scenario?” ho iniziato a comporre quindi, con l’appoggio della galleria d’arte con cui lavoro, che aveva subito approvato il mio concept, scatti futuribili e/o da dissesto metropolitano e dintorni, abbinati nonostante l’apparente inconciliabilità di diverse dimensioni; ho ricercato suggestioni misteriose, forse un po’ schizoidi nel senso in cui tutto il postmodern lo è, sotto traccia. “Associazioni inspiegabili eppure persistenti come vizi della mente. Suggestioni inquietanti eppure ostinate come noi stessi. Da dove vengono? Per mezzo di percezioni extrasensoriali o folli intuizioni, confini invalicabili vengono varcati, tracciati incomparabili vengono intrecciati, connessioni ufficialmente inedite vengono rivelate. Ne deriva la vivida, allucinatoria presa di coscienza di st(r)ati tesi di realtà sovreccitate che si agitano nel buio, sguardi da brivido rinchiusi in celle frigorifere ambulanti, occhi alieni celati dietro pannelli appannati di strutture senza nome che cercano di penetrare le menti, scariche elettroniche di organismi cibernetici di codificazione e controllo che lavorano in padiglioni sinistri, numerati come le stazioni ferroviarie di un consenso forzoso. Una sistematica alternanza dentro-fuori conduce dove la prevedibilità dei percorsi pone cesure, pianta dispositivi di sorveglianza, sbarra l’occhio con linee divisorie. Spazi residenziali postmoderni rinserrano tra le loro vetrate giochi coercitivi che non fanno differenze tra prigionieri umani o vegetali, fatiscenti edifici dall’intonaco scrostato pseudo-pompeiano trasudano un acidume metropolitano che ignoti nomadi meccanizzati si incaricano di portare in tournèe con automobili incerottate che sanno di pittura materica o di cellophane per cadaveri. L’unica funzione sociale di certi flashes urbani è il thriller perpetuo.

Inarrestabile appare la produzione di misteri ridicoli in città (come quella costruzione prefabbricata che sa di piscina criogenica fuori stagione), attorno ai quali gli individui indottrinati camminano a distanza di sicurezza senza porsi domande, mentre i non allineati, di cui in pochi si fidano, spesso vengono portati dentro e ricondizionati con metodi brutali, nella loro assurdità: “Tutti dicono che sei un bastardo. Ma chi sono questi tutti? Se non puoi fare i nomi devi tacere!” Invece il container color terra si pone come rifugio non standardizzato in una no go zone, peccato che la miseria trascini molti schiavi all’astrazione dell’identità, e la clandestinità delle procedure di meticciamento produca orrori virali in cui venature secche strangolano serbatoi di un sangue ormai ocra, troppo sfruttato”.

Queste ultime note le scrivevo il 15/11/2014, ore 00:47, dopo aver composto, dato che sono anche scrittore, un episodio del mio corposo romanzo sperimentale cyber-grottesco “Progetto NO” per ciascuno dei dittici. E nellerighe che avete letto poco sopra alludevo appunto alle immagini di quella serie ed agli episodi narrativi ad esse abbinati. Per quanto riguarda il dittico che Cyberpunk Italia ha qui pubblicato non esiste ancora il racconto corrispondente, dato che ho ricevuto l’ok solo poche ore prima della pubblicazione; però prossimamente vedrò di buttarlo giù e chissà che in quell’occasione non ci si risenta su questa bandwidth.

Per il momento, a compensare la mancanza del brano narrativo, vorrei illustrare con poche altre note la serie da cui proviene questo dittico in particolare; una serie che è la naturale prosecuzione di “Nessi oscuri” e che cerca di accentuare la componente tecnologica e, ovviamente, cyberpunk. Non vi sarà infatti certo sfuggita, nel dittico, l’associazione concettuale low-life / hi-tech. Ebbene, la nuova serie si intitola “Paradigma indiziario”, rispecchiando anche la componente noir e dunque investigativa del nostro genere preferito.

Il 10/11/2015 all’1:47 scrivevo, al riguardo: “Se le pretese di sistematicità in genere sono velleitarie, ed anche un paradigma scientifico non assicura che dagli indizi si possa giungere per abduzione ad una verità oggettiva, che secondo l’epistemologia delle scienze sociali non esiste, eppure la tensione logica tipica degli esseri umani rende loro difficile abbandonare l’idea di totalità: l’esistenza di una connessione profonda che leghi tra loro ad esempio le immagini emblematiche e misteriose di questa serie fotografica. Lo spettatore si ritrova quindi sollecitato ad interpretare gli indizi costruendosi il proprio paradigma. L’ermeneutica infatti, ma già Nietzsche prima di essa, ribaltò ogni positivismo nel suo contrario, ovvero in un soggettivismo che vede ogni realtà come interpretazione, e allora questo mio lavoro seriale invita concettualmente a riflettere non su un’utopistica unità (perduta) ma sulla natura frammentata della realtà e sulla sua “costruzione” da parte dell’attore sociale (si veda il noto saggio di Berger e Luckmann). La costruzione di questa serie, peraltro, combina l’esattezza e la verità ed anche la qualità estetica (inquadratura e cromatismo) dei singoli scatti con l’ipoteticità azzardata dei nessi che possano legare i dittici ed evoca di conseguenza tutto un immaginario, dal cyberpunk all’avantpop, dal thriller alla fantascienza alla spy story, in cui figure ed elementi eterogenei ma sempre inquietanti entrano in gioco secondo trame tendenzialmente imprevedibili, specie nell’accezione che ne do io. L’operazione, comunque, denota anche tratti ironici, avendo il sottoscritto la chiara consapevolezza di utilizzare anche “reperti” iconografici provenienti da una realtà ordinaria e di condurre quindi un esperimento semiserio oltre che provocatoriamente artificioso e però, proprio per questo, spero arguto e intellettivamente stimolante, perché, col sostegno dei miei episodi del Progetto NO, autentica “spiegazione” affabulatoria dell’immagine, si offre al fruitore la possibilità di esercitare in qualche misura l’intuizione, intesa come capacità di passare in maniera repentina dal noto all’ignoto sulla base di indizi”.

 

© il7 – Marco Settembre        –       [email protected]

 

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